Esiste una serie di variabili da tener presente per raggiungere i migliori risultati con il minimo sforzo e che sono inoltre indispensabili per sviluppare un programma d’allenamento personale che ci permetta di raggiungere i nostri obbiettivi. Non tutte le macchine sono uguali, né emettono tutte lo stesso tipo di corrente; non con tutte si possono raggiungere i migliori risultati, così come a seconda della corrente che utilizziamo, l’allenamento può risultare doloroso e spiacevole, a causa della sensazione simile a piccole punture sulla pelle, oppure comodo e perfettamente sopportabile, come succede con gli elettrostimolatori che usano correnti rettangolari bifasiche compensate. Non si tratta però solo di questo, ci sono altre caratteristiche essenziali da considerare affinché il nostro allenamento includa le fibre muscolari striate che ci interessano, affinché la nostra risposta fisiologica sia ottima, si produca un adattamento e infine affinché possiamo sfruttare in modo efficace le nostre sessioni di elettrostimolazione.
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Elettrostimolazione: un pò di storia
L’elettrostimolazione è un metodo in realtà antico, utilizzato già da molti secoli anche se in modo rudimentale. Ai tempi della civiltà egizia, 4 millenni fa, si utilizzavano pesci in grado di rilasciare scariche elettriche nel trattamento di diverse patologie. Ovviamente non consigliamo l’uso di anguille elettriche, pesci gatto e torpedini, già che oggi disponiamo di una tecnologia molto più efficace e priva di rischi.
Anche se questa tecnica era usata già nell’antichità, e non solo dagli egiziani, ma anche dalle civiltà greca e romana, dobbiamo aspettare la metà del ventesimo secolo per assistere alle prime applicazioni dell’elettrostimolazione nell’attività sportiva. Durante gli anni 60 fanno la loro apparizione le cosiddette “correnti russe”, un trattamento che deve il suo nome all’uso che ne fecero i preparatori sportivi degli atleti russi durante l’epoca dell’Unione Sovietica, sottomettendo gli atleti a delle scariche di un’intensità prossima alla tortura, in vista delle gare dove avrebbero dovuto dimostrare non solo la propria superiorità atletica, ma soprattutto quella del modello di società sovietica, destinata a crollare pochi anni dopo insieme al muro di Berlino.
Molto tempo prima delle Correnti Russe, durante il secolo XVIII, lo scienziato Luigi Galvani dimostrò che facendo passare della corrente elettrica per il midollo spinale di una rana, si potevano ottenere delle contrazioni muscolari. Questo esperimento fu ripetuto in molte università, provando che la corrente elettrica poteva generare contrazioni muscolari, anche se ancora non si capiva il perché. Osservando la reazione alle scariche elettriche di muscoli di creature prive di vita, si notò che il muscolo conservava per un certo lasso di tempo la sua capacità contrattile in risposta alla corrente elettrica, per tanto si suppose che gli esseri con vita generassero in alcun modo della corrente elettrica dentro il corpo, permettendogli di contrarre e controllare i muscoli in modo volontario. Era ormai dimostrato che la base dell’impulso nervoso era la corrente elettrica e che quest’ultima era una componente essenziale della fisiologia degli esseri viventi.
Nell’era contemporanea, per noi è un concetto elementare il fatto che sia il cervello a produrre gli stimoli elettrici e che questi vengano trasmessi attraverso il corpo dal sistema nervoso, raggiungendo la muscolatura e permettendoci ogni tipo di movimento. Nel diciottesimo secolo, ai tempi di Galvani e Volta, non esistevano ancora gli strumenti necessari a misurare le correnti elettriche del corpo umano, ma quegli scienziati, quasi senza l’aiuto di tecnologie, riuscirono a dimostrarlo e non si limitarono solo a quello; furono in grado di dimostrare che il tipo di energia che attraversava il corpo umano era della stessa natura di quella prodotta dai fulmini e di quella prodotta sfregando una barra di ambra. Possiamo dire che quegli scienziati furono dei geni e che a loro si deve il merito di scoperte cruciali per la nascita e lo studio di nuove branche della medicina, come la neurofisiologia e la neurologia.
Luigi Galvani
Alle scoperte di questi giganti si devono altre successive e non meno geniali, come quelle di Michael Faraday, che dedicò tutti suoi sforzi come fisico e chimico allo studio dell’elettromagnetismo. Essendo passato molto tempo, è facile dimenticare che senza il lavoro di Faraday e le sue scoperte sull’induzione elettromagnetica, oggi, non disporremmo dei moderni motori elettrici e dei generatori usati nelle dighe, che ci permettono di avere la luce nelle nostre case. Finalmente, a cavallo tra i secoli XIX e XX, comincia a prodursi una serie di importanti avanzamenti tecnologici che rese possibile l’uso dell’elettrostimolazione come elemento terapeutico nel trattamento di diverse patologie, soprattutto nel trattamento del dolore.
I diversi passi in avanti pian piano confluiscono e l’elettroterapia comincia a dimostrarsi una terapia seria e realmente utile. Appaiono i frutti di diverse ricerche e si scoprono nuovi tipi di correnti elettriche: Interferenziali, Diadinamiche, Iontoforesi. La conoscenza in neurofisiologia avanza a passi da gigante: si scopre il modo in cui i muscoli rispondono efficacemente alla corrente elettrica, si scopre l’importanza che riveste la frequenza dell’onda elettrica nella stimolazione delle fibre muscolari veloci e di quelle lente. Anche l’informatica progredisce rapidamente e il controllo e la gestione permessi dalle macchine sono sempre più accurati e migliori. Se prima un elettrostimolatore pesava 20 chilogrammi, adesso si possono ottenere risultati identici – se non migliori – con una macchina ultraportatile che entra nel palmo di una mano. È arrivata l’età dell’oro dell’elettrostimolazione.
L’impulso elettrico ha una serie di caratteristiche fisiche che lo definiscono, di modo che variando uno qualunque dei parametri a cui ci riferiamo, si otterrà un tipo di corrente differente.
Attraverso la gestione di questi parametri, potremo scegliere di lavorare principalmente sulle fibre muscolari veloci, sulle quelle lente o su entrambe, così come potremo scegliere di ottenere un effetto rilassante, stimolante, di sviluppo della forza, della resistenza, della velocità o migliorare la vascolarizzazione e la microcircolazione.
1. Frequenza dell’impulso. È uno dei parametri più importanti, dato che ci permette di regolare quali fibre muscolari verranno attivate. La frequenza ci indica il numero di volte che viene prodotto lo stimolo in un secondo;questa cadenza ritmica stimolerà a frequenze più basse le fibre lente della nostra muscolatura e a frequenze più alte, quelle veloci. Se vogliamo quindi migliorare la resistenza muscolare, dovremo lavorare con un range di frequenze comprese all’incirca tra 2 e 30 hertz; tra 30 e 70 Hz si attiveranno entrambi i tipi di fibre mentre con frequenze comprese tra 80 e 120 Hz stimoleremo intensamente le fibre muscolari veloci. Elevando l’intensità dello stimolo e la sua frequenza, ci approssimeremo a una contrazione tetanica, la stimolazione diviene molto rapida e non si produce un rilassamento del muscolo, così che si reclutano più fibre muscolari con il risultato di una contrazione molto potente.
2. Tempo dell’impulso o larghezza. Indica il tempo per cui si applica lo stimolo; il tempo dell’impulso si misura in microsecondi. D’accordo con la Legge di Weiss, che relaziona l’ampiezza dell’impulso con l’intensità applicata e la sua durata, si sviluppa il concetto di cronassia (dal grecocronos, tempo, e axia, valore): la durata minima necessaria di uno stimolo per produrre una contrazione con un’intensità di corrente uguale al doppio della reobase.
La reobase è l’intensità di corrente necessaria per raggiungere la soglia di eccitazione del muscolo.
Non tutti i nervi né tutti i muscoli possiedono lo stesso valore di cronassia, ciò significa che ogni muscolo ha bisogno di una determinata larghezza dell’impulso per ottenere una contrazione e quanto più la larghezza dell’impulso va superando la cronassia del muscolo, tanto maggiore sarà la potenza della contrazione.
3. Intensità o ampiezza dell’impulso. L’ampiezza si misura in ampere, l’unità di misura basica dell’intensità della corrente elettrica. Le correnti elettriche neuromuscolari che provocano la contrazione delle fibre si misurano in milliampere.
Quando utilizziamo un elettrostimolatore, è molto importante conoscere le sensazioni che produce, a cui ci riferiamo in termini di soglie. La soglia sensoriale è quella in cui cominciamo a percepire la corrente, la soglia motoria è quella in cui cominciamo a notare le prime contrazioni e la soglia del dolore è quella che vogliamo evitare di raggiungere. Dobbiamo sempre tener presente che è imprescindibile evitare qualsiasi sensazione di dolore durante l’uso di un elettrostimolatore.
È facile da intuire che programmeremo il nostro lavoro in modo da muoverci sempre tra la soglia motoria e quella del dolore, senza mai raggiungere quest’ultima. È anche evidente che lavorando sulla soglia motoria si reclutano poche fibre e che all’aumentare l’ampiezza dell’impulso insieme all’uso della frequenza adeguata si recluteranno più fibre e provocheremo adattamenti fisiologici più intensi.
4. Parametri della durata del tempo dello stimolo e del riposo. La durata della contrazione si misura in secondi e indica il tempo per cui lo stimolo va a mantenere contratto il muscolo. La durata dipende da altre variabili quali la frequenza misurata in hertz, il tempo di riposo e l’ampiezza. Il tempo di riposo è, per definizione, il tempo che intercorre tra una contrazione e quella successiva. La durata del tempo di riposo dipenderà dall’obbiettivo che ci siamo prefissati, se alleniamo la forza e la resistenza, i tempi di riposo saranno più lunghi che nel caso di un allenamento anaerobico. Come vedremo meglio più avanti, un’alta intensità, frequenze alte e tempi di riposo corti generano uno sforzo muscolare importante e richiederanno al nostro corpo un notevole adattamento; frequenze basse, dell’ordine tra 2 e 8 Hz, produrranno un effetto rilassante e aiuteranno nella fase di recupero dopo lo sforzo.
Obiettivi dell’elettrostimolazione
È di fondamentale importanza e interesse sapere quali obbiettivi possiamo raggiungere con l’elettrostimolazione e attraverso quali mezzi. Passiamo pertanto alla descrizione dei primi, gli obbiettivi che ci proponiamo.
Obbiettivi fondamentali:
a) Raggiungere un buon livello di conoscenza teorica dell’elettrostimolazione neuromuscolare e, se possibile, fare pratica con un elettrostimolatore.
b) Studiare a fondo quei parametri che ci permetteranno di ottenere ottimi risultati nel minor tempo possibile.
c) Comprendere fino in fondo le potenzialità dell’allenamento neuromuscolare.
d) Presentare una serie esemplificativa e reale di programmi d’allenamento neuromuscolare che successivamente ci aiutino ad elaborarne di personali, in modo efficiente.
L’elettrostimolazione neuromuscolare è una nuova componente di cui disponiamo per migliorare le nostre condizioni fisiche. Tanto ad un livello base, come ai massimi livelli dell’agonismo sportivo, l’elettrostimolazione si converte in un utile alleato che ci permetterà di migliorare le nostre performance sportive con minore sforzo fisico e psicologico e per tanto migliorando la nostra efficienza.
L’allenamento sportivo e il miglioramento delle nostre condizioni fisiche devono fondarsi su solide basi fisiologiche, già che qualsiasi aumento del rendimento sportivo si ottiene solo facendo in modo che il nostro corpo si adatti a sforzi fisici sempre maggiori, stando attenti a non mettere a rischio la salute. Ciò implica la programmazione di obbiettivi e mezzi per raggiungere l’adattamento fisico che genererà una compensazione allo sforzo e pertanto un miglioramento dei nostri risultati sportivi. Per prima cosa, quindi, dovremo fissarci degli obbiettivi e poi elaborarli in una scala temporale, per verificare i risultati.
Per aiutarci a capire meglio di cosa stiamo parlando, non c’è niente di meglio di un esempio concreto. Prendiamo il caso di uno sportivo a livello amatoriale che vuole migliorare le sue capacità fisiche per partecipare a gare di corsa locali, nella sua zona. Supponiamo che questa persona non ha nessun problema fisico, ma che è leggermente sovrappeso, non avendo praticato alcuno sport da molti anni, perché non aveva tempo libero da dedicargli.
Essendo già esperti nella preparazione atletica per la corsa, prepariamo un programma in vista della gara, puntando soprattutto sul carico aerobico e ci prefissiamo una revisione degli obbiettivi ogni 10 o 15 giorni. Se il problema principale era la mancanza di tempo, ci accorgeremo che anche adesso continua ad essere l’ostacolo principale al mantenimento di una routine di allenamento, e non perché non si abbia voglia di allenarsi, ma perché ci sono troppe attività che non possiamo abbandonare, troppi impegni che sembrano sorgere dal nulla, quasi come se ci fosse una congiura a impedirci di portare avanti il nostro programma. La mancanza di tempo è dunque il problema principale e non tenerlo presente al momento di elaborare il nostro programma sarebbe un grosso sbaglio, che ci porterebbe inevitabilmente a fallire nel nostro scopo di migliorare la nostra condizione fisica. Diventa quindi necessario includere nel nostro programma l’uso dell’allenamento neuromuscolare, per raggiungere i nostri obbiettivi senza l’eccessivo stress che comporterebbe la grande quantità di tempo da dedicare agli allenamenti. Inoltre l’allenamento neuromuscolare apporta un serie di benefici extra:
1- Regolazione dell’intensità del carico perfettamente adattata alla sensazione di tensione muscolare che possiamo sopportare.
2- Sforzo senza svantaggio meccanico e con una minore sofferenza delle articolazioni, minor fatica per lo stesso livello di sforzo.
3- Recupero più veloce dopo le sessioni di allenamento, nonché la possibilità di usare l’elettrostimolatore per migliorare il rilassamento muscolare.
4- Diminuzione del sovraccarico di legamenti e tendini, pertanto minor rischio di lesioni.
5- Possibilità di realizzare l’allenamento in qualsiasi momento della giornata, anche mentre si svolge un altro lavoro.
Sfortunatamente le persone dedicano più tempo e investono più denaro nella cura della propria automobile che in quella del proprio corpo. Sappiamo che non è una scelta del tutto cosciente e che l’auto è un bene quasi indispensabile nella società in cui viviamo, però, in ultima istanza, il nostro più importante veicolo siamo noi stessi, il nostro corpo, senza il quale non andremmo da nessuna parte. In gioventù, la vita è magnanima, tutto funziona perfettamente e la macchina, quando si guasta, si ripara da sola; quando però gli anni passano, cominciamo a renderci conto che disponiamo di sempre meno tempo – e senza volerlo – da dedicare al nostro mezzo di trasporto più importante, il nostro corpo, con la conseguenza di ridurre sempre più la nostra qualità di vita. Se il problema è l’avere poco tempo a disposizione, l’elettrostimolazione neuromuscolare è la soluzione. Ciò non significa che dobbiamo allenarci solo con l’elettrostimolatore, ma che possiamo combinarne l’uso con l’allenamento classico, avendo alla fine più tempo da dedicare alla nostra salute.
Dobbiamo insomma insistere sul tempo come elemento chiave. Già sappiamo che l’uso dell’elettrostimolazione neuromuscolare comporta importanti vantaggi: minor stress psicologico, minor sofferenza articolare, un lavoro d’alta qualità su fibre lente e veloci, obbiettivo altrimenti difficile da raggiungere con l’allenamento classico e infine l’aiuto considerevole durante le fasi di riposo. Ancor più importante di questi vantaggi fin qui elencati, a parer mio, emerge la possibilità di ottimizzare il nostro tempo, allenandoci mentre realizziamo altri lavori quotidiani.
Elettrostimolazione e contrazione volontaria
Per realizzare una contrazione isometrica o un movimento volontario, il cervello genera un impulso che viaggia attraverso il corpo attraverso il sistema nervoso centrale fino al nervo motore, si produce una scarica nella placca motoria muscolare e si ottiene in modo controllato una contrazione o un movimento. È un processo molto complicato e rapidissimo, in cui i neuroni trasmettono lo stimolo a catena, attraverso una serie continua di polarizzazione e depolarizzazione, fino a che non si ottiene l’obbiettivo desiderato, una contrazione. Questa sarà più o meno potente, in relazione all’entità dell’impulso iniziale di modo che si dovrà raggiungere un livello soglia di stimolo sufficiente affinché si realizzi una contrazione minima. Al di sotto del livello di soglia, la contrazione non si produrrà, mentre all’aumentare dell’intensità dello stimolo, la contrazione o l’intensità del movimento aumenteranno anch’esse.
L’elettrostimolazione muscolare rilascia una scarica sulla pelle che viaggia fino al nervo motore e induce una scarica nella placca motoria, provocando la contrazione. Generando l’impulso elettrico, l’elettrostimolatore sostituisce il cervello; tanto la contrazione volontaria come quella ottenuta per mezzo di impulsi elettrici esogeni producono lo stesso risultato finale: una contrazione neuromuscolare.